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SENTIERO STORICO del C.A.I. 607

Fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, Valbruna e la Val Saisera, come tutta la Val Canale, si trovavano in territorio Austriaco. Il confine con il Regno d’Italia attraversava la Val Fella presso Pontebba e correva sulla cresta della catena montuosa che divideva la Val Dogna dalla Val Fella. Sulla cima dello Jôf di Miezegnot il confine piegava verso sud attraverso la Sella di Sompdogna. Il Mittagskofel, così veniva chiamato dagli austriaci lo Jôf di Miezegnot, costituiva il cardine del fronte nelle Alpi Giulie e per gli italiani era un ottimo punto di osservazione sulle retrovie austriache.
Per questo motivo già nel giugno del 1915 le truppe austroungariche attaccarono lo Jôf di Miezegnot partendo dalla zona della Malga Strechizza, riuscendo però a conquistare solo la Quota 1952, chiamata dagli austriaci Kleine Mittagskofel. Per tutta la durata della guerra le posizioni rimasero invariate, nonostante i violenti combattimenti del luglio 1916, quando gli italiani attaccarono la Quota 1952, la riconquistarono ma non riuscirono a tenerla a causa del contrattacco austroungarico. Nella valle la zona montuosa a ovest di Valbruna è forse la più ricca di testimonianze storiche riguardanti la Prima Guerra Mondiale ed è anche la meglio servita da sentieri facilmente percorribili.
Il paese di Valbruna lo si raggiunge facilmente mediante l’autostrada A4 Udine – Tarvisio uscendo al casello di Ugovizza. Dopo aver attraversato il paese, prima di arrivare al suggestivo Cimitero Militare della Val Saisera, si nota sulla destra una strada forestale che sale ripida nel bosco, con le indicazioni del CAI per il sentiero n.607. Prima di iniziare la salita si consiglia una breve visita al “Cimitero degli Eroi”, cosi chiamato dai soldati austriaci che lo costruirono. In questo cimitero, ideato dal Tenente Grosschedel e costruito dal Sottotenente ingegnere Videreni (autore del bellissimo dipinto custodito all’interno della cappella) furono sepolti tutti i soldati caduti sulle montagne circostanti. Oltre ai soldati austro-ungheresi troviamo anche numerosi prigionieri russi, giunti fino qui al seguito delle truppe di ritorno dal fronte Galiziano e impiegati nelle retrovie come portatori o addetti alle cucine. Il cimitero è stato restaurato nel 2002 a cura della Croce Nera Austriaca, l’ente statale che si occupa della manutenzione di tutti i cimiteri, monumenti e sacrari riguardanti i caduti austriaci di tutte le guerre.
Il sentiero n.607, che inizia a Quota 820 metri , viene attraversato in più punti da una nuova strada forestale che collega Valbruna con Malga Rauna. Si consiglia di seguire il vecchio sentiero perché il notevole sviluppo e la poca pendenza della strada allungano notevolmente il tempo di percorrenza dell’intero itinerario. Salendo per un bellissimo bosco di faggio e abeti si arriva alla Malga Rauna (m 1480, h 1,30) e da qui, in pochi minuti si raggiunge Cappella Zita (m 1515). La Cappella Zita fu costruita nel 1917 dai soldati stiriani del 10° battaglione Landsturm (Milizia Territoriale) e dedicata alla moglie dell’Imperatore Karl, successore di Franz Josef morto nel dicembre del 1916. La cappella è sopravissuta agli eventi bellici e fu restaurata nel 1984.
Ogni anno, il quindici di agosto, durante una festa organizzata dai Pompieri Volontari di Valbruna, una messa viene celebrata in ricordo dei caduti di tutte le guerre. Poco oltre troviamo il bivio per Malga Strechizza (m 1550, h 1,45). Tutta la zona risulta disseminata di testimonianze dell’attività bellica; si vedono dappertutto ripiani per baracche, sentieri, trincee e camminamenti. Il sentiero principale prosegue sotto la dorsale che sale al Piccolo Jôf di Miezegnot (trattandosi di un sentiero militare doveva essere costruito al riparo della vista degli italiani) passando davanti a numerose caverne, resti di cucine e ricoveri. Salendo tra i numerosi larici, spesso si apre sulla sinistra la vista del Santuario della Madonna del Lussari. Il piccolo villaggio che sorge intorno alla suggestiva chiesetta, distrutto dall’artiglieria italiana durante la guerra, è meta tutt’oggi di migliaia di pellegrini provenienti dalla Slovenia, dall’Austria e dall’Italia.
Arrivati circa a Quota 1700 (h 2,15) si apre la visuale sul teatro degli scontri del luglio 1916. Sulla sinistra possiamo vedere la cresta dello “Schwarzenberg” (toponimo austriaco che definiva la serie di piccole cime ad est del Piccolo Jôf di Miezegnot) e sulla destra il “Kleine Mittagskofel”, o Quota 1952. Per questi ripidi versanti il 19 luglio del 1916 la compagnia di alta montagna n.7, addestrata dagli uomini di Julius Kugy, corse in aiuto del presidio austriaco al momento scacciato dalle posizioni di vetta. La battaglia infuriò per due giorni e alla fine dei combattimenti le perdite, tra morti e feriti, furono di 91 austriaci e 400 italiani. Da quota 1700 il sentiero sale fuori dal bosco ( a sinistra, di fronte, presso una grotta naturale, si possono vedere spesso numerosi camosci) attraverso ghiaioni e facili roccette fino alla sella (m 1940, h 2,45) dove correva la prima linea. Arrivati alla sella, sulla destra si stacca un sentierino che porta sotto la cima del Piccolo Jôf di Miezegnot. Qui il 15 luglio del 2001 l’Associazione Amici di Valbruna ha collocato una lapide a ricordo dei combattimenti tra italiani e austriaci. La cerimonia si è svolta alla presenza di autorità locali e austriache, il Gruppo ANA di Malborghetto e l’Associazione degli Schutzen Volontari Carinziani, una fanfara dell’esercito austriaco, e alcuni parenti di soldati che qui avevano combattuto. Per l’occasione due abitanti di Valbruna, Davide Deotto e Alessadro Martinz, indossarono le divise d’epoca di un alpino del Battaglione Gemona e di un austriaco del 1° Reggimento Gebirgsschützen carinziano. I loro nonni, Davide Deotto e Leopold Martinz avevano combattuto proprio su queste montagne durante la prima guerra mondiale e sopravissuti, vissero poi nello stesso paese come i loro nipoti.
Dalla cima di Quota 1952 si può vedere la prima linea italiana che scendeva dallo Jof di Miezegnot sul costone Peceit. Il sentiero a questo punto scende per alcuni metri e poi risale per un canalone friabile fino a quota 1968 ( h 3,00). Qui si trovano i resti delle postazioni italiane. Il sentiero risale sul versante nord-ovest della montagna fino alla cima dello Jôf di Miezegnot, (m 2087, h 3,30) Anche qui numerosi sono i resti delle posizioni militari italiane: trincee, caverne blindate, ricoveri e osservatori. La vista a 360° sulle montagne circostanti è incredibile: a sud lo Jôf Fuart e lo Jôf di Montasio, a est il Mangart, a nord le montagne della Carinzia e ad ovest le Alpi Carniche. Si può facilmente intuire l’importanza che aveva questa cima per i due eserciti. Per gli italiani il suo possesso costituiva un punto di osservazione indispensabile, ma anche per gli austriaci non era meno importante: avrebbe permesso finalmente di vedere tutte le retrovie italiane della Val Dogna. Dalla cima, per il sentiero CAI 609 si può scendere alla Sella di Sompdogna, (m 1350, h 1,00) da li al Rifugio Grego ( m1389, h1,20) e per il sentiero CAI 611 ritornare in Val Saisera presso la malga omonima ( m 1004, h 2,00).

LA VALCANALE COME ZONA DI CONFINE DURANTE LE GUERRE

La Valcanale fino alla fine della prima guerra mondiale apparteneva all’Impero Austro-ungarico e il confine con il Regno d’Italia era situato a Pontebba. Il paese era diviso dal rio Pontebbana, da una parte la Pontebba italiana e dall’altra la Pontafel austriaca. La prima linea italiana scendeva dalla valle di Studena, attraversava la Val Fella presso San Rocco, risaliva La Veneziana, continuava lungo tutta la cresta dove correva il confine, tra il monte Schenone e lo Jof di Miezegnot. La prima linea austro-ungarica attraversava il rio Bombaso presso la località “Auria” e da lì, mediante capisaldi situati sulle cime delle montagne a nord del fiume Fella, come il monte Cit, il Ghisnitz e l’Alpe Piccola, attraversava la valle presso la località di Cucco di Malborghetto. Da qui risaliva sul versante opposto e attraverso la malga Strechizza raggiungeva il Piccolo Jôf di Miezegnot, il punto dove le due linee risultavano più vicine. Da questa cima, attraverso la cresta del monte Schwarzenberg, la prima linea austro-ungarica scendeva in Val Saisera presso la località “Plania” e risaliva le pendici del Piccolo Nabois per collegarsi al caposaldo dello Jôf Fuart. Sui fianchi delle montagne a sud del fiume Fella gli austriaci avevano predisposto tre linee difensive, la prima saliva da Cucco attraverso il costone denominato Pagonia fino sotto i contrafforti del Monte Due Pizzi, la seconda saliva dai “Prati del Noce” fino alla località Pascon sotto il Monte Piper e la terza dalla Malga Strechizza risaliva fino al Piccolo Jôf di Miezegnot, chiamato dagli italiani “Quota 1954”. I resti delle costruzioni fatte dai soldati durante la Grande Guerra sono rimasti sulle cime delle montagne, dove la vegetazione è quasi assente, mentre nei boschi della Val Fella e della Val Saisera è difficile notare i segni dei lavori di scavo perché la natura sta ricoprendo le trincee e le piazzole. Restano ben visibili le caverne costruite nella viva roccia, le trincee fatte in cemento, i sentieri di guerra e le casette costruite in sasso, quasi sempre italiane, mentre gli austriaci, come loro tradizione costruivano baracche in legno che generalmente sono state oggetto di recupero dei materiali negli anni successivi alla fine del conflitto. Specialmente i sentieri risultarono importantissimi nel dopoguerra; furono usati dai boscaioli, dai pastori e dai reduci che ritornavano sui luoghi dove avevano combattuto. L’utilizzo più importante però fu quello turistico. Per merito di questi sentieri e vie attrezzate la montagna cominciò ad essere accessibile anche a chi non era un provetto alpinista. Grazie al lavoro del Club Alpino Italiano molti di questi sentieri costruiti dai soldati del genio militare di entrambi gli eserciti sono tutt’oggi percorribili agevolmente. Il territorio del Comune di Malborghetto comprende quasi totalmente la zona del fronte occupata dalle truppe Austroungariche, se si esclude la zona di Malga Granuda, la cresta tra il Cuel dai Pez e lo Jôf di Miezegnot, il costone Peceit, la sella e lo Jôf di Somdogna e il Bivacco Stuparich, caposaldo italiano più avanzato nell’allora territorio dell’Impero di Austria e Ungheria. I resti più importanti presenti sul territorio sono sicuramente quelli del Forte Hensel, conosciuto anche come il Forte di Malborghetto, imponente opera costruita dagli Austriaci nel 1880 su uno sperone del Monte Stabet, denominato “Tschalawaj”, situato a metà strada tra l’abitato di Malborghetto e Ugovizza. Questo forte era stato quasi totalmente disarmato all’inizio del conflitto perché era stato ritenuto troppo antiquato e debole rispetto alla potenza delle nuove artiglierie dell’epoca. Comunque svolse egregiamente lo scopo per il quale era stato costruito: rallentare l’avanzata italiana per dar modo alle truppe austriache dislocate sul fronte orientale di raggiungere il confine carinziano e predisporre un’adeguata linea difensiva. Presso l’abitato di Cucco, sul lato destro della val Fella si trova una caverna per artiglieria molto ben conservata e sulla sinistra del fiume Fella, in località Pagonia si possono scorgere nel bosco le trincee di prima linea. Proseguendo verso il Due Pizzi, presso quota 952, vicino ad una postazione in cemento armato che ospitava un cannone prelevato dal Forte Hensel, si trova una bellissima lapide in ricordo dei costruttori di quella posizione. Sulla cima della Testa di Malborghetto possiamo trovare i resti dell’osservatorio del Forte e più in alto, sullo Stabet, un’iscrizione sulla roccia ricorda che lì venne posizionata una batteria di cannoni. In cima ad un canale a sud della cima del Monte Lomeg esisteva un piccolo osservatorio sospeso tra due rocce. Da questo osservatorio Julius Kugy assistette, il 18 e 19 ottobre del 1915 al duello di artiglierie che precedette l’attacco austriaco alla Sella di Somdogna e allo Jôf di Miezegnot. Così lo scrittore triestino lo ricorda nelle sue memorie: “…ma anche il nostro osservatorio del Lomeg meritava di esser visto. La sua base era costituita dalle rocce più alte di una fenditura verticale, che si apriva sul versante sud, poco al di sotto del pianoro di cima. Costruito con travi, tavole e cartone catramato, sembrava un incantevole nido di rondine sospeso sull’abisso. Una piccola sporgenza di roccia lo proteggeva da eventuali colpi in arrivo, mentre gli abeti lo mascheravano col loro rado manto, senza però ridurre il suo campo di vista.” Alla base del monte Obuas, vicino alla strada statale un monumento triangolare ricorda che da quel luogo il futuro Imperatore Karl vide il massiccio bombardamento del 12 giugno 1915. In Val Saisera troviamo il suggestivo Cimitero Militare costruito durante la guerra e nei suoi pressi i resti dello Sbarramento Saisera, con fortini scavati nella roccia e bunker in cemento armato. Nel fondovalle non si notano rilevanti tracce di trincee, ad esclusione di un camminamento perfettamente conservato nei pressi della località “Sotto Plania” ma risalendo le pendici delle montagne a destra e a sinistra del torrente Saisera non possono sfuggire i sempre più evidenti segni del lavoro svolto dai soldati austro-ungheresi. La zona intorno alla Cappella Zita, costruita dai soldati Stiriani nel 1917, è ricca di testimonianze tra le quali bisogna menzionare la grande cisterna per l’acqua potabile che riforniva la zona di Malga Rauna e le numerose caverne, tra cui una addirittura su tre piani, che si incontrano salendo verso il Piccolo Jôf di Miezegnot. Nella zona, lo Schwarzenberg è sicuramente la montagna con più caverne e postazioni in roccia. Tutta la cresta è attraversata da sentieri scavati nella roccia, fortini in cemento, basi di baracche, depositi di legna e ricoveri in caverna. Numerose sono le targhe che ricordano le truppe che lì passarono quasi tre anni, combattendo sia contro l’allora nemico che contro la natura. Infatti le truppe austriache erano sul versante Nord della montagna, scosceso e friabile. Oltretutto in quella zona l’acqua era totalmente assente ed anche i collegamenti con il fondovalle erano possibili prevalentemente con teleferiche. Bisogna anche ricordare il Nabois e lo Jôf Fuart, capisaldi importantissimi per gli austriaci. Sulle loro pareti furono costruiti sentieri, vie ferrate, caverne per cannoni e baracche per le truppe. Sulla cima del Nabois esisteva un osservatorio e su quella dello Jôf Fuart vi era stata scavata una caverna per un cannone da montagna. Per la costruzione di tutte queste opere fu fondamentale l’esperienza di Julius Kugy, allora “referente alpino” dell’esercito austro-ungarico. I suoi consigli servirono ad evitare molte perdite umane dovute alle valanghe e servirono pure a tracciare una via ferrata ancora oggi utilizzata: la Gola di Nord Est sullo Jôf Fuart. Alla costruzione della via parteciparono alcuni dei nomi più illustri tra le guide e gli alpinisti di quei tempi: Oitzinger di Valbruna, Dibona di Cortina, il triestino Dougan e il tirolese Sepp Innerkofler. Kugy nelle sue memorie esprime così il suo pensiero sulla possibilità di conservare le opere costruite dai soldati durante la guerra come: ” …il rifugio Scotti sullo Jôf Fuart e gli altri ammirevoli lavori compiuti su quel monte, come l’aerea postazione II, detta Burgwache e situata su un esposto pinnacolo della cresta verso il vuoto della Torre Sprania. In ogni stagione estiva, dovrebbe essere liberata dalle formazioni di ghiaccio anche la caverna sulla vetta e soprattutto quella del cannone. Sarebbe bene conservare i nidi di rondine attaccati alle rocce sulle insellature del Grande e Piccolo Nabois, le opere difensive che, con meravigliosi lavori durati più anni, furono strappati ai blocchi di pietra dello Schwarzenberg, del Piccolo Jôf di Miezegnot, delle Cime Castrein e della Forcella Mosé. Lo stesso può dirsi per il villaggio militare del Pian delle Rondini e i fortini fra la pace silvestre dei monti a nord del Fella. Noi che abbiamo contribuito a crearle, vediamo in ciascuna di queste opere la meta di un devoto pellegrinaggio”.